Relazione del Presidente del Consiglio dei Ministri, sulle linee programmatiche del nuovo esecutivo, pronunciata il 29 aprile 2013 in Parlamento.
“Signora Presidente, onorevoli deputati, appena una settimana fa il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, pronunciava il suo discorso di insediamento alla Presidenza della Repubblica. A lui consentitemi di rivolgere un sincero ringraziamento per lo straordinario spirito di dedizione alla nostra comunità nazionale, con il quale ha accettato la rielezione per il secondo mandato.
Voglio inoltre ringraziare i Presidenti del Senato, Piero Grasso, e della Camera, Laura Boldrini, per la collaborazione offerta nella fase di consultazione in questo primissimo avvio dell’esperienza di Governo.
Quella del Presidente Napolitano è stata – lo sappiamo – una scelta eccezionale. Eccezionale perché tale è il momento che l’Italia e l’Europa si trovano a vivere oggi. Di fronte all’emergenza il Presidente della Repubblica ci ha invitato a parlare il linguaggio della verità. Ci ha chiesto di offrire in extremis, al Paese ed al mondo, una testimonianza di volontà di servizio e senso di responsabilità. Ci ha concesso un’ultima opportunità: l’opportunità di dimostrarci degni del ruolo che la Costituzione ci riconosce come rappresentanti della nazione, degni di servire il Paese attraverso il rigore, l’esempio, le competenze, in una delle stagioni più complesse e dolorose della storia unitaria. Accogliendo il suo appello, intendo oggi rivolgermi a voi proprio con il linguaggio sovversivo della verità, confessandovi che avverto fortissimi in questo momento la consapevolezza dei miei limiti ed il peso della mia personale responsabilità, ma impegnandomi a fare di tutto affinché le mie spalle siano larghe e solide al punto da reggere nelle vesti di Presidente del Consiglio di un Governo che richiede qui ed oggi la fiducia del Parlamento.
Infine, non potrei iniziare questo discorso, in un passaggio così impegnativo, senza un accenno personale ed esprimere un senso di gratitudine profonda verso chi, con generosità e senso antico della parola lealtà, mi ha sostenuto anche in questo difficile passaggio: Pierluigi Bersani.
La prima verità è che la situazione economica dell’Italia è ancora grave. Abbiamo accumulato in passato un debito pubblico che grava come una macina sulle generazioni presenti e future e che rischia di schiacciare per sempre le prospettive economiche del Paese. Il grande sforzo di risanamento compiuto dal precedente Governo, guidato dal senatore Mario Monti, è stato premessa della crescita, in quanto la disciplina della finanza pubblica era e resta indispensabile per contenere i tassi di interesse e sventare possibili attacchi finanziari.
Il mantenimento degli impegni presi con il Documento di economia e finanzia è necessario ad uscire quanto prima dalla procedura di disavanzo eccessivo e per recuperare margini di manovra all’interno dei vincoli europei che vogliamo rispettare. Nelle sedi europee ed internazionali l’Italia si impegnerà, poi, per individuare strategie per ravvivare la crescita, senza compromettere il processo necessario di risanamento della finanza pubblica. <br<
L’Europa è in crisi di legittimità ed efficacia, proprio quando tutti i Paesi membri e tutti i cittadini ne hanno più bisogno. L’Europa può tornare ad essere motore di sviluppo sostenibile e, quindi, di speranza e di costruzione di futuro, solo se finalmente si apre; si apre perché il destino di tutto il continente è strettamente legato. Non ci possono essere vincitori e vinti, se l’Europa fallisce questa prova: saremmo tutti perdenti, sia nel sud che nel nord del continente. È per questo che, se otterrò la vostra fiducia, immediatamente, già da domani sera e poi mercoledì e giovedì, visiterò in un unico viaggio Bruxelles, Berlino e Parigi per dare subito il segno che il nostro è un Governo europeo ed europeista. La risposta dunque è una maggiore integrazione verso un’Europa federale, altrimenti il costo della non Europa, il peso della mancata integrazione, il rischio di un’unione monetaria senza unione politica e unione bancaria ed economica diventeranno insostenibili, come la crisi di questi cinque anni ci ha mostrato.
Questo Parlamento ha già dimostrato di poter trovare intese per dare all’Europa un contributo italiano innovativo: questo è avvenuto nel sostegno all’azione europea del Governo Monti ed è avvenuto nell’elaborazione di posizioni comuni, come quella elaborata dai colleghi Baretta, Brunetta e Occhiuto in vista del Consiglio europeo del giugno scorso. Da quelle premesse politiche ripartiremo. Le premesse macroeconomiche sono quelle dell’euro e della Banca centrale europea guidata da Mario Draghi.
Di solo risanamento l’Italia muore. Dopo più di un decennio senza crescita, le politiche per la ripresa non possono più attendere. Semplicemente non c’è più tempo: tanti cittadini, troppe famiglie sono in preda alla disperazione e allo scoramento. Pensiamo alla vulnerabilità individuale che nel disagio, nel vuoto di speranze, rischia di tramutarsi in rabbia e in conflitto, come dimostra e ci ricorda lo sconcertante fatto avvento ieri stesso dinanzi a Palazzo Chigi. Ieri, andando a visitare in ospedale il brigadiere Giuseppe Giangrande, ferito gravemente insieme al carabiniere scelto Francesco Negri. Dicevo, ieri andando a visitare in ospedale il brigadiere Giuseppe Giangrande, ferito gravemente insieme al carabiniere scelto Francesco Negri, sono stato impressionato dalla forza e dalla fermezza della figlia Martina: il Parlamento si stringe a lei in questo momento così doloroso. E il Parlamento deve stringersi anche all’Arma dei carabinieri e a tutte le Forze dell’ordine, per il servizio continuo, silenzioso, encomiabile, spesso in condizioni disagiate, svolto nell’interesse della nazione in Italia e all’estero.
Senza crescita e senza coesione, l’Italia è perduta. Il Paese invece può farcela, ma per farcela deve ripartire e per ripartire tutti devono essere motori di questa nuova energia positiva. L’architrave dell’Esecutivo sarà l’impegno ad essere seri e credibili sul risanamento e la tenuta dei conti pubblici. Basta con i debiti che troppe volte il nostro Paese ha scaricato sulle spalle e la vita delle generazioni successive. Quelle nuove, di generazioni, hanno imparato sulla propria pelle e non faranno lo stesso con i propri figli.
Ecco perché la riduzione fiscale senza indebitamento sarà un obiettivo continuo e a tutto campo. Anzitutto, quindi, ridurre le tasse sul lavoro, in particolare su quello stabile e quello per i giovani neoassunti. Poi, una politica fiscale della casa che limiti gli effetti recessivi in un settore strategico come quello dell’edilizia, includere incentivi per ristrutturazioni ecologiche, affitti e mutui agevolati per giovani coppie e poi bisogna superare l’attuale sistema di tassazione della prima casa, intanto con lo stop ai pagamenti di giugno per dare il tempo al Governo e al Parlamento di elaborare insieme e applicare rapidamente una riforma complessiva che dia ossigeno alle famiglie, soprattutto quelle meno abbienti. Misure ulteriori dovrebbero essere il pagamento di parte dei debiti delle amministrazioni pubbliche, l’allentamento del Patto di stabilità interno, la rinuncia all’inasprimento dell’IVA, l’aumento delle dotazioni del Fondo centrale di garanzie per le piccole e medie imprese e del Fondo di solidarietà per i mutui. Ma questi provvedimenti, sebbene necessari, non sono sufficienti. La crescita economica di un Paese richiede una strategia complessa che eviti dispersioni a pioggia delle poche risorse e che possa innescare meccanismi virtuosi.
Per questo è necessaria una sintonia tra le azioni del Governo, quelle delle banche e delle imprese, che devono essere mirate ad una crescita di lungo periodo degli attori economici, per superare gli annosi ritardi dell’Italia in termini di crescita della produttività e della competitività.
Il Governo deve accompagnare questa crescita e rimanere a fianco delle imprese anche e soprattutto quando queste si impegnano all’estero nell’arena globale.
Un importante argomento di contesto concerne la giustizia, in quanto solo con la certezza del diritto gli investimenti possono prosperare. Questo ovviamente riguarda innanzitutto l’impegno alla moralizzazione della vita pubblica, alla lotta alla corruzione che distorce regole e incentivi. E questo riguarda la giustizia nel suo complesso: la giustizia deve essere giustizia innanzitutto per i cittadini. La ripresa ritornerà anche se i cittadini e gli imprenditori italiani e stranieri saranno convinti di potersi rimettere con fiducia ai tempi e al merito delle decisioni della giustizia italiana e tutto questo funzionerà se la smetteremo di avere una situazione carceraria intollerabile ed eccessi di condanne da parte della Corte dei diritti dell’uomo. Ricordiamoci sempre che siamo il Paese di Cesare Beccaria.
Dobbiamo liberare le energie migliori dell’Italia e non partiamo da zero. Partiamo da due grandi risorse: prima di tutto sui giovani. «Scommettete su cose grandi» ha detto proprio ieri Papa Francesco rivolto a loro e noi abbiamo gli strumenti per aiutarli. Quello generazionale non è certo solo un tema attinente al rinnovamento della classe dirigente: è una questione drammatica, che scontano sulla propria pelle milioni di giovani. Segnala bassi tassi di istruzione e di occupazione, porta con sé lo sconforto e la rabbia di chi non studia né lavora. Chiediamoci quanti bambini non nascono ogni anno in Italia per la precarietà, che limita le scelte delle famiglie giovani. Non è solo demografia: è una ferita morale, perché non devono esistere generazioni perdute, perché solo i giovani possono ricostruire questo Paese. Le loro nuove esperienze e competenze ci raccontano un mondo che cambia, il loro mondo. Rinunciare ad investire su di loro è un suicidio economico ed è la certezza di decrescita, la più infelice. Semplificheremo e rafforzeremo l’apprendistato, che ha dato buoni risultati in Paesi vicini. Un aiuto può venire da modifiche alla 92, quali suggerite dalla Commissione dei saggi istituita dal legge n. Presidente della Repubblica, che riducano le restrizioni al contratto a termine finché dura l’emergenza economica. Aiuteremo le imprese ad assumere giovani a tempo indeterminato, con defiscalizzazioni o con sostegno ai lavoratori con bassi salari, condizionati all’occupazione, in una politica generale di riduzione del costo del lavoro e del peso fiscale.
Non bastano incentivi monetari. Occorre prendersi cura dei giovani, volgendo il disagio in speranza, puntando su orientamento e stimolo all’imprenditorialità. Bisogna fare tesoro della voglia di fare dei nuovi italiani, così come bisogna valorizzare gli italiani all’estero. La nomina di Cecile Kyenge significa una nuova concezione di confine, da barriera a speranza, da limite invalicabile a ponte tra comunità diverse. La società della conoscenza e dell’integrazione si costruisce sui banchi della scuola e nell’università. Dobbiamo ridare entusiasmo e mezzi idonei agli educatori, che in tante classi volgono il disagio in speranza, e dobbiamo ridurre il ritardo rispetto all’Europa nelle percentuali di laureati e nella dispersione scolastica.
In Italia, c’è una nuova questione sociale, segnata dall’aumento delle diseguaglianze: solo il 10 per cento dei giovani italiani con il padre non diplomato riesce a laurearsi, mentre sono il 40 per cento in Gran Bretagna, il 35 per cento in Francia, il per 33 per cento in Spagna. Bisogna finalmente dare piena attuazione all’articolo 34 della Costituzione, per il quale i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.L’eguaglianza più piena è destinata a durare nelle generazioni ed è oggi più che mai l’uguaglianza delle opportunità. Per rilanciare il futuro industriale del Paese bisogna scommettere sullo spirito imprenditoriale e innovare e investire in ricerca e sviluppo. Per questo intendiamo lanciare un grande piano pluriennale per l’innovazione e la ricerca finanziato tramite project bond. La ricerca italiana può e deve rinascere nei nuovi settori di sviluppo come, ad esempio, l’agenda digitale, lo sviluppo verde, le nanotecnologie, l’aerospaziale, il biomedicale, solo per citarne alcuni. Si tratta di fare una politica industriale moderna che valorizzi i grandi attori, ma anche e soprattutto le piccole e medie imprese che sono e rimarranno il vero motore dello sviluppo del nostro Paese Oltre all’alta tecnologia bisogna investire su ambiente e energia. Le nuove tecnologie, fonti rinnovabili, efficienza energetica vanno maggiormente integrate nel contesto esistente, migliorando la selettività degli strumenti di incentivazione in un’ottica organica con visione di medio e lungo periodo. Sempre con riguardo ai settori energetici, va completato il processo di integrazione con i mercati geografici dei Paesi europei confinanti. Questo implica, per l’energia elettrica, il completamento del cosiddetto market coupling e per il gas il completo riallineamento dei nostri prezzi con quelli europei. È chiaro che episodi in questo campo come quelli dell’ILVA di Taranto non sono più tollerabili.
Tutta l’impresa italiana per crescere ha bisogno di più semplicità, di un’alleanza tra la pubblica amministrazione e la società senza tollerare le sacche di privilegio. La burocrazia non deve opprimere la voglia creativa degli italiani ed è per questo che bisognerà rivedere l’intero sistema delle autorizzazioni, per snellire le procedure ed avere fiducia in chi ha voglia di investire, creare e offrire posti di lavoro. Non si possono più chiedere sacrifici sempre e soltanto ai soliti noti. I sacrifici sono socialmente sostenibili solo se sono ispirati ad un principio di equità. Questo significa coniugare una ferrea lotta all’evasione con un fisco amico dei cittadini senza che la parola Equitalia debba provocare dei brividi quando viene evocata.
L’altra grande risorsa è l’Italia stessa, bellezza senza navigatore. La nostra tendenza all’autocommiserazione è pari solo all’ammirazione che l’Italia suscita all’estero. Molti stranieri vogliono bagnarsi nei nostri mari, visitare le nostre città, mangiare e vestire italiano. L’Italia e il made in Italy sono le migliori ricchezze. È per questo che uno dei primi atti del Governo sarà quello di nominare il commissario unico per l’Expo 2015, una grande occasione che non dobbiamo mancare. E a questo fine nei prossimi giorni sarò a Milano a presentare il decreto e a partire per l’ultimo miglio di questo evento strategico.
Per questo dobbiamo rilanciare il turismo e, soprattutto, attrarre investimenti. Rimuoviamo quegli ostacoli che fanno sì che l’Italia per molti non sia una scelta di vita. Questo significa puntare sulla cultura, motore e moltiplicatore dello sviluppo. Questo significa valorizzare e custodire l’ambiente, il paesaggio, l’arte, l’architettura, le eccellenze enogastronomiche, le infrastrutture. Questo vuol dire valorizzare il nostro grande patrimonio sportivo. La pratica dello sport significa prevenzione delle malattie, lotta contro l’obesità, formazione a stili di vita sani, lealtà e rispetto delle regole. Dobbiamo impegnarci, come ha già detto il Ministro Idem, per diffondere la pratica sportiva sin dalle scuole elementari con un piano di edilizia scolastica su tutto il territorio nazionale. L’intraprendenza dei giovani e la bellezza dei territori sono d’altra parte due risorse cruciali per il Mezzogiorno. In entrambi i casi un patrimonio dissipato, un giacimento inutilizzato di potenzialità. Dobbiamo mettere in condizione il sud di crescere da solo annullando i divari infrastrutturali e di ordine pubblico che l’hanno frenato, puntando sulle nuove imprese, in particolare le industrie culturali e creative e sulla buona gestione dei fondi europei come quella che ha caratterizzato l’operato del Governo Monti. Dobbiamo soprattutto evitare di continuare a mettere la testa sotto la sabbia come struzzi e riconoscere che il divario tra nord e sud del Paese è non un accidente storico o una condanna, ma il prodotto di decenni di inadempienze da parte delle classi dirigenti a livello nazionale come a livello locale.
È il risultato dell’azione della criminalità organizzata, che certo è presente anche nel resto del Paese: in larghe parti del Mezzogiorno ha i connotati del controllo arrogante del territorio. E questo, nonostante lo spirito di servizio e sacrificio di tanti servitori dello Stato – magistrati ed esponenti delle forze dell’ordine innanzitutto –, che, troppo spesso, abbiamo avuto la responsabilità di lasciare soli. Anche per questo dobbiamo dare effettiva concretezza al valore della specificità della professione svolta dal personale in divisa delle Forze armate e della Polizia.
Ma permettetemi di soffermarmi un attimo sulla grande tragedia di questi tempi, che, d’altronde, al sud tocca punte di desolazione e allarme sociale. È la questione che sarà la prima priorità del mio Governo: la questione del lavoro. Solo con il lavoro si può uscire da questo incubo di impoverimento e imboccare la via di una crescita non fine a se stessa, ma volta a superare le ingiustizie e a riportare dignità e benessere.
Senza crescita anche gli interventi di urgenza su cui ci siamo impegnati e che qui ribadisco – rifinanziamento delle casse integrazione in deroga, superamento del precariato anche nella pubblica amministrazione –, sarebbero insufficienti. In particolare, con i lavoratori esodati la comunità nazionale ha rotto un patto e la soluzione strutturale di questo tema è un impegno prioritario di questo Governo.
Mai come oggi occorre fiducia reciproca: imprese e lavoratori devono agire insieme e superare le contrapposizioni che in passato ci hanno frenato. Sono sicuro che, come in tanti momenti critici della vita della Repubblica, i sindacati saranno protagonisti.
E il Governo vuole aprire la strada con proposte che approfondiremo insieme: ampliare gli incentivi fiscali a chi investe in innovazione, sostenere l’aggregazione e l’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese, dare più credito a chi lo merita, garantire il pagamento dei debiti alle imprese, semplificare e rimuovere gli ostacoli burocratici che frenano lo spirito di impresa.
Dobbiamo anche valorizzare il lavoro autonomo e le libere professioni che, in una società post industriale, rappresentano la spina dorsale della nostra economia. Ora bisogna lavorare tutti insieme per formare e dare opportunità ai giovani, innalzare la qualità, servire al meglio i clienti.
Anche sull’occupazione femminile occorre fare molto di più. La maggiore presenza delle donne nella vita economica, sociale e politica dà già straordinari contributi alla crescita del Paese, ma siamo lontani dagli obiettivi europei: non siamo ancora un Paese delle pari opportunità. La carenza di servizi scarica sulle donne compiti insostenibili, e tutto questo è aggravato, in alcuni casi, da una crescita insopportabile dei fenomeni di violenza contro le donne.
La riforma del nostro welfare richiede azioni di ampio respiro per rilanciare il modello sociale europeo. Il welfare tradizionale, schiacciato sul maschio adulto e su pensioni e sanità, non basta più, non stimola la crescita della persona e non basta a correggere le disuguaglianze. Non occorrono isterismi, occorre un cambiamento radicale: un welfare più universalistico e meno corporativo che sostenga tutti i bisognosi, aiutandoli a rialzarsi e a riattivarsi. Per un welfare attivo, più giovane e al femminile andranno migliorati gli ammortizzatori sociali, estendendoli a chi ne è privo, a partire dai precari. E si potranno studiare forme di reddito minimo, soprattutto, per famiglie bisognose con figli.
Hanno trovato largo consenso parlamentare, nei mesi passati, le proposte su incentivi al pensionamento graduale, con part time misto a pensione, con una staffetta generazionale per la parallela assunzione di giovani. Inoltre, per evitare il formarsi di bacini estesi di lavoratori anziani di difficile ricollocazione, studieremo forme circoscritte di gradualizzazione del pensionamento, come l’accesso con tre, quattro anni di anticipo al pensionamento con una penalizzazione proporzionale.
Dobbiamo, poi, ricordarci che l’Italia migliore è un’Italia solidale.
È per questo che il Governo non può che valorizzare la rete di protezione dei cittadini e dei loro diritti con misure tese al miglioramento dei servizi, dai servizi sanitari a quelli del trasporto pubblico locale e pendolare, con una particolare attenzione per i disabili e i non autosufficienti. Vorrei a questo punto rendere omaggio alle donne e agli uomini che ogni giorno consentono al nostro Paese di godere di questa solidarietà, e che mantengono unito il nostro tessuto sociale: i servitori dello Stato, quelli che rischiano la vita per protegge le istituzioni, quelli che lavorano nella sanità per salvare delle vite, quelli che aiutano i nostri figli a crescere, ma anche gli operatori del volontariato, della cooperazione, del terzo settore, della galassia del 5 per mille.
È l’esempio che giornalmente viene dato da queste persone che fa riscoprire l’onore e il valore del servizio pubblico. Una speciale menzione merita la Protezione civile, che ha dato una straordinaria prova nei terremoti in Abruzzo e in Emilia, e che ci ricorda che abbiamo un impegno alla prevenzione con piani straordinari di manutenzione contro il dissesto idrogeologico e la lotta all’abusivismo.
Onorevoli deputati, vorrei che questo Governo inaugurasse una fase nuova nella vita della Repubblica, non il canto del cigno di un sistema imploso sulle sue troppe degenerazioni, ma un primo impegno per la ricostruzione della politica e del nostro modo di percepirci come comunità. La ricostruzione, però, può partire solo da un esercizio autentico, non simulato, di autocritica. La verità è che la politica ha commesso troppi errori: si è erosa giorno dopo giorno la credibilità della politica e delle istituzioni, vittime di un «presentismo», vale a dire dell’ossessione del consenso immediato che ha bloccato il Paese.
Ancora, non abbiamo compreso quanto le legittime istanze di innovazione, partecipazione, trasparenza, sottese alla rivoluzione della rete potessero tradursi in un oggettivo miglioramento della qualità della nostra democrazia rappresentativa, anziché sfociare nel mito o nell’illusione della democrazia diretta.
Oggi abbiamo dinanzi un’altra sfida ancora più complessa, quella dell’autorevolezza: l’autorevolezza del potere che non ha più come in passato il monopolio delle informazioni, ma deve avere il profilo e le competenze per discernere il vero dal falso nel flusso enorme di informazioni presenti nella rete; l’autorevolezza di chi non si accontenta della verosimiglianza e del sentito dire, ma sceglie sempre e solo la verità ed ha il coraggio e la pazienza di raccontarla ai cittadini, anche se dolorosa o brutale. Per cominciare, bisogna recuperare decenza, sobrietà, scrupolo, senso dell’onore e del servizio e, infine, la banalità della gestione del buon padre di famiglia. Ognuno deve fare la sua parte. A questo fine, per dare l’esempio – e dico al Parlamento una cosa che nemmeno i miei Ministri sanno ancora –, il primo atto del Governo sarà quello di eliminare con una norma d’urgenza lo stipendio dei Ministri parlamentari, che esiste da sempre in aggiunta alla loro indennità.
Nessuno – ripeto nessuno – può sentirsi esentato dal dovere dell’autorevolezza. Nessuno può considerarsi fino in fondo assolto dall’accusa di aver contaminato il confronto pubblico con gesti, parole, opere e omissioni. Con 11 milioni e mezzo di cittadini che hanno deciso di non votare alle elezioni dello scorso febbraio, quello dell’astensione è risultato essere il primo partito: o lo capiamo o la politica scompare.
Non era mai accaduto prima: due milioni in più rispetto al 2008, 4 milioni in più rispetto al 2006; su questo sfondo la riduzione dei costi della politica diventa un dovere di credibilità.
Pensate ai rimborsi elettorali: tutte le leggi introdotte dal 1994 ad oggi sono state ipocrite e fallimentari, non rimborsi ma finanziamento mascherato, per di più di ammontare decisamente troppo elevato, come la Corte dei conti ha recentemente confermato, due miliardi e mezzo di euro dal ’94 al 2012 a fronte di spese certificate di circa mezzo miliardo; è questa solo una delle conferme del fatto che il sistema va rivoluzionato. Partiamo, dunque, dal finanziamento pubblico ai partiti abolendo la legge approvata e introducendo misure di controllo e di sanzione anche sui gruppi parlamentari e regionali; occorre, poi, avviare percorsi che finalmente consegnino la libera scelta del cittadino, con opportuni interventi sul versante fiscale, la contribuzione all’attività politica dei partiti.
È però anche importante collegare il tema del finanziamento a quello della democrazia interna ai partiti attuando finalmente i principi sulla democrazia interna incorporati nell’articolo 49 della Costituzione, stimolando la partecipazione dei militanti e garantendo la trasparenza delle decisioni e delle procedure.
Rivendico con forza l’importanza di un temporaneo Governo di servizio al Paese tra forze sicuramente lontane e diverse tra di loro; credo che non sia facile votare insieme da posizioni così eterogenee, ma proprio per questo credo che questa sia una scelta che meriti rispetto anche da chi non la condivide, perché non è motivata dall’interesse particolare, ma da principi più alti di coesione nazionale.
Questo è stato il senso del messaggio del Presidente della Repubblica alle Camere, non dobbiamo aver paura di fare il nostro dovere per l’Italia, noi dobbiamo dare il nostro contributo a ricostruire un patto di fiducia, a ritrovare il senso di una missione comune; come italiani o si vince o si perde tutti insieme.
Sicuramente è e deve essere un’eccezione la convergenza di forze politiche che si sono presentate come alternative alle elezioni, ma è eccezionale che dalle urne, anche a causa della legge elettorale, non sia uscita alcuna maggioranza; è eccezionale l’emergenza economica che il Governo dovrà affrontare; è eccezionale il fatto che sia necessario riscrivere alcune regole costituzionali. Credo, quindi, che le forze politiche che sostengono il Governo stiano dimostrando un grande senso di responsabilità e di attaccamento alle istituzioni. Vent’anni di attacchi e delegittimazioni reciproche hanno eroso ogni capitale di fiducia nei rapporti tra partiti ed opinione pubblica, che è esausta, sempre più esausta delle risse inconcludenti.
Ho imparato da Nino Andreatta la fondamentale distinzione tra politica, intesa come dialettica tra le diverse fazioni, e politiche, intese come soluzioni concrete ai problemi comuni; se in questo momento ci concentriamo sulla politica, le nostre differenze ci immobilizzeranno; se invece ci concentriamo sulle politiche, allora potremmo svolgere un servizio al Paese migliorando la vita dei cittadini. È per questo che intendo appellarmi alla responsabilità dei partiti e dei movimenti, perché ritengo centrale il ruolo del Parlamento, con una continua interlocuzione con le forze politiche che non sostengono il Governo e con la creazione di luoghi permanenti di codecisione, ai quali parteciperò personalmente, tra il Governo e le forze politiche che hanno deciso di sostenerlo.
L’appello alla responsabilità e alla capacità di trovare terreni di convergenza è ancora più pressante nel nostro compito di riformare le istituzioni, anche perché auspico che per la scrittura delle regole che riguardano la vita democratica di tutti il fronte si allarghi anche alle forze che non hanno intenzione di sostenere il Governo in modo organico, ma che devono partecipare pienamente al processo costituente.
Vedo oggi una via stretta, ma possibile, per una riforma – anche radicale – del sistema istituzionale e del sistema politico. Un imperativo deve essere chiaro a tutti noi fin dal primo momento: in questa materia negli ultimi decenni abbiamo assistito troppe volte all’avvio di percorsi riformatori che si presentavano come risolutori, che nelle intenzioni, anche sincere, di chi li proponeva promettevano di regalarci istituzioni più efficienti e capaci di decidere, oltre che maggiormente vicine ai cittadini, e che invece si sono infranti contro veti reciproci chiusure partigiane, prese di posizione strumentali e contrapposizioni dannose nonostante, in ultimo, i reiterati richiami del Presidente della Repubblica.
Al fine di sottrarre la discussione sulla riforma della Carta costituzionale alle fisiologiche contrapposizioni del dibattito contingente sarebbe bene che il Parlamento adottasse le sue decisioni sulla base delle proposte formulate da una Convenzione aperta anche alla partecipazione di autorevoli esperti non parlamentari e che parta dai risultati delle attività parlamentari della scorsa legislatura e delle conclusioni del Comitato dei saggi istituito dal Presidente della Repubblica.
La Convenzione deve poter avviare subito i propri lavori sulla base degli atti di indirizzo del Parlamento, in attesa che le procedure per una legge costituzionale possano compiersi. Dal momento che questa volta l’unico sbocco possibile su questo tema è il successo nell’approvazione delle riforme che il Paese aspetta da troppo tempo, fra diciotto mesi verificherò se il progetto sarà avviato verso un porto sicuro. Se avrò una ragionevole certezza che il processo di revisione della Costituzione potrà avere successo, allora il nostro lavoro potrà continuare. In caso contrario, se veti e incertezze dovessero minacciare di impantanare tutto per l’ennesima volta, non avrei esitazione a trarne immediatamente le conseguenze.
La moralità della politica è quella di prendere le decisioni che i cittadini si attendono e di rispettare gli impegni presi di fronte al Paese e alle istituzioni. L’obiettivo complessivo è quello di una riforma che riavvicini i cittadini alle istituzioni rafforzando l’investitura popolare dell’Esecutivo e migliorando efficienza ed efficacia del processo legislativo. I principi che debbono guidarci sono quelli di una democrazia governante, la capacità degli elettori di scegliersi propri rappresentanti e di decidere alle elezioni sui Governi e le maggioranze che li sostengono.
Dobbiamo superare il bicameralismo paritario per snellire il processo decisionale ed evitare ingorghi istituzionali come quello che abbiamo appena sperimentato, affidando ad una sola Camera il compito di conferire o revocare la fiducia al Governo. Nessuna legge elettorale, infatti, è in grado di garantire il formarsi di una maggioranza identica in due diversi rami del Parlamento. Dobbiamo, quindi, istituire una seconda Camera – il Senato delle regioni e delle autonomie – con competenze differenziate e con l’obiettivo di realizzare compiutamente l’integrazione dello Stato centrale con le autonomie, anche sulla base di una chiara ripartizione delle competenze tra livelli di Governo con il perfezionamento della riforma del Titolo V.
Bisogna riordinare i livelli amministrativi e abolire definitivamente le province. Semplificazione e sussidiarietà debbono guidarci al fine di promuovere l’efficienza di tutti i livelli amministrativi e di ridurre i costi di funzionamento dello Stato. Questo non significa perseguire una politica di tagli indifferenziati, ma, al contrario, valorizzare comuni e regioni per rafforzare le loro responsabilità, in un’ottica di alleanza tra il Governo, i territori e le autonomie ordinarie e speciali.
Bisogna altresì chiudere rapidamente la partita del federalismo fiscale rivedendo il rapporto fiscale tra centro e periferia, salvaguardando la centralità dei territori delle regioni e valorizzando le autonomie speciali.
Si può anche esplorare il suggerimento del comitato di saggi, istituito dal Presidente della Repubblica, per l’eventuale riorganizzazione delle regioni e dei rapporti tra loro.
Occorre poi riformare la forma di Governo, e su questo punto bisogna anche prendere in considerazione scelte coraggiose, rifiutando piccole misure cosmetiche e respingendo i pregiudizi del passato.
La legge elettorale è naturalmente legata alla forma di Governo, ma si possono sin da ora delineare gli obiettivi fondamentali: innanzitutto dobbiamo solennemente, qui, assumere l’impegno che quella dello scorso febbraio sia l’ultima consultazione elettorale che si svolge sulla base della legge elettorale vigente (Applausi). Cambiarla serve non solamente per assicurare la formazione di maggioranze sufficientemente ampie e coese, in grado di garantire Governi stabili, ma prima ancora, per restituire legittimità al Parlamento e ai singoli parlamentari. Non possiamo più accettare l’idea di parlamentari, di fatto imposti con la stessa presentazione delle candidature, senza che i cittadini abbiano la possibilità di individuare il candidato più meritevole il giorno delle elezioni. Sono certo che le forze politiche siano in grado di trovare delle ottime soluzioni. Permettetemi di esprimere, a livello meramente personale, che certamente migliore della legge attuale sarebbe almeno il ripristino della legge elettorale precedente.
Rappresentare l’intera nazione oggi significa prima di tutto sapere ribadire che le sorti dell’Italia sono intimamente correlate a quelle dell’Unione europea, due destini che si uniscono. Nel 2012 tutti noi abbiamo vinto il premio Nobel, anche se forse non ce ne siamo pienamente accorti, l’Unione europea è stata premiata per un’alchimia politica senza precedenti: la trasformazione delle macerie di un continente di guerra in uno spazio di pace. Allora i nemici decisero di vivere insieme; dopo, insieme, abbiamo promosso la democrazia e riunificato il continente dalle ferite della cortina di ferro, insieme abbiamo dato vita al mercato unico, insieme abbiamo concepito la cooperazione allo sviluppo, di cui siamo leader al mondo, insieme ai ragazzi partiti nel 1987 per il primo Erasmus abbiamo scoperto di avere nuove case e nuove famiglie e insieme, nella crisi, dobbiamo ripartire da alcune verità, perché delle verità non bisogna mai avere paura.
In primo luogo, il Nobel è alla memoria, l’Europa non è il passato, è il viaggio nel quale ci siamo imbarcati per arrivare nel futuro; l’Europa è lo spazio politico con cui rilanciare la speranza che ha animato la nostra società nella ricostruzione del dopoguerra, è lo spazio politico con cui mettere fine a questa guerra di stereotipi, di sfiducia e di timidezza, mentre la tragedia della disoccupazione giovanile mette un’intera generazione in trincea. L’Europa esiste solo al presente e al futuro, solo se alla storia scritta dai nonni e dai padri si affiancano le azioni dei figli e dei nipoti.
In secondo luogo, l’Europa è il nostro viaggio, la sua storia non è scritta malgrado noi, è scritta da noi; l’orizzonte è europeo, con le università che devono diplomare laureati in grado di lavorare ovunque in Europa e le imprese che devono inventare prodotti che siano competitivi a livello continentale e globale. Pensare l’Italia senza l’Europa è la vera limitazione della nostra sovranità, perché porta alla svalutazione più pericolosa, quella di noi stessi. Vivere in questo secolo vuol dire non separare le domande italiane e le risposte europee nella lotta alla disoccupazione e alla disuguaglianza, nella difesa e nella promozione di tutti i diritti e soprattutto nell’abbattimento dei muri tra il nord e il sud del continente, così come tra il nord e il sud dell’Italia.
In terzo luogo, il porto a cui il nostro viaggio è rivolto sono gli Stati Uniti d’Europa e la nostra nave si chiama democrazia, guardiamo con ammirazione, certo, lo sviluppo delle altre nazioni, in particolare in Asia, in Africa, ma non vogliamo sognare i sogni degli altri. Abbiamo il diritto a un sogno che si chiama Unione politica europea e abbiamo il dovere di renderlo più chiaro.
Possiamo avere più Europa soltanto con più democrazia, con partiti europei, con l’elezione diretta del Presidente della Commissione con un bilancio coraggioso e concreto, come devono essere i sogni che vogliono diventare realtà.
L’Italia vive in un mondo sempre più grande, caratterizzato dall’arrivo sulla scena di nuove potenze emergenti, che stanno modificando gli equilibri mondiali. Di fronte a giganti come Cina, India e Brasile, i singoli Stati europei non possono che sviluppare una politica comune per raggiungere la massa critica necessaria, e interagire con questi nuovi attori, e influire sui processi globali. Questo significa un rinnovato impegno per una politica estera e di difesa comuni, tese a rinnovare l’impegno per il consolidamento dell’ordine internazionale, un impegno che vede le nostre Forze armate in prima linea, con una professionalità e un’abnegazione seconde a nessuno. Lavoreremo per trovare una soluzione equa e rapida alla dolorosa vicenda dei due fucilieri di Marina trattenuti in India, che ne consenta il legittimo rientro in Italia nel più breve tempo possibile.
L’Italia è saldamente collocata nel campo occidentale, ma la sua posizione geopolitica, proiettata verso altre civiltà, la sua cultura abituata al dialogo, e la sua economia vocata all’esportazione possono consegnarle un ruolo di ponte tra l’Occidente e le nuove potenze emergenti. Questo è importante soprattutto nel Mediterraneo, dove il consolidamento delle Primavere arabe, la risoluzione politica della crisi in Siria e la prosecuzione del processo di pace in Medio Oriente sono le questioni più urgenti.
Onorevoli colleghi, vado a concludere. In questi giorni ho pensato molto al personaggio biblico di Davide: come lui, con lui, siamo nella valle, in attesa di affrontare Golia, nella valle delle nostre paure, di fronte a sfide che appaiono gigantesche, anche la sfida di metterci insieme per affrontarle. Come Davide, in quella valle, dobbiamo spogliarci della spada e dell’armatura che in questi anni abbiamo indossato e che ora ci appesantirebbero. Come Davide prese in mano il suo bastone, si scelse cinque ciottoli lisci dal torrente e li pose nella sua sacca di pastore, nella bisaccia, prese in mano la fionda e si avvicinò a Golia, noi dal torrente delle idee sulle quali ci siamo confrontati, abbiamo scelto i nostri ciottoli, le nostre proposte di programma. La fionda l’abbiamo in mano insieme – Governo e Parlamento – ma, di Davide, ci servono il coraggio e la fiducia: il coraggio di mettere da parte quella prudenza politica, che spinge ad evitare il confronto con le nostre paure, a rimanere nella valle e, se proprio decidiamo di muoverci, a farlo con indosso l’armatura. No, il coraggio di affrontare la sfida, liberandoci dall’armatura, forse l’abbiamo trovato; la fiducia è quella che oggi chiediamo al Parlamento e agli italiani”.